lunedì 16 novembre 2009

Il "processo breve", un contributo al dibattito dall'avv. Tommaso Carone

Il Partito Democratico, ovunque si trovi sul territorio, ha il dovere di confrontarsi sul nodo giustizia, un nodo purtroppo che sta condizionando l'agenda politica e sta strozzando il confronto politico.
Che sta condizionando l'agenda politica perchè inevitabilmente distoglie l'attenzione da altrettanto gravi, e forse più seri problemi del Paese, uno per tutti la crisi economica che sta divorando ogni giorno di più ricchezza nazionale e posti di lavoro, sta strangolando le famiglie che per un verso non arrivano alla fine del mese e che per altro sono contemporaneamente chiamate a fungere da ammortizzatori sociali, sta sacrificando i consumi e sta gravemente condizionando le aziende tutte compromettendo la loro capacità di stare sul mercato e le possibilità di fare innovazione.
Che sta strozzando, dicevo, il confronto politico fra berlusconiani e anti berlusconiani, in una guerra senza scampo e senza senso.
Il Partito Democratico deve invece riportare il confronto sul terreno del merito della proposta di riforma della giustizia per come presentata dal PDL e condivisa dalla Lega Nord, dicendo con chiarezza cosa non va e cosa doverebbe invece farsi per ridare serietà e dignità al nostro sistema giudiziario.
E allora dovrebbe, a mio modestissimo parere, dire che una “leggina” che ha come pur nobile, ma unico, fine quello di ridurre la durata dei processi tout court a sei anni, due per ciascun grado di giudizio, è oggi in Italia un suicidio politico e un controsenso giuridico.
Come può pensarsi che in un Paese dove un processo penale dura in media sette anni e mezzo ed anche più, possa durare invece non più di due anni per ogni grado con un semplice colpo di bacchetta magica, senza che a tale previsione normativa sulla durata non si accompagni una riforma complessiva e organica del sistema?
Come pensare che la durata di un processo possa diminuire:
se non viene contemporaneamente aumentato il numero dei magistrati, da anni inferiore agli organici invece previsti come necessari?
Se non si pone mano alla ristrutturazione degli organici delle cancellerie?
Se non si avvia finalmente il processo telematico e non si promuovano procedimenti all'insegna della efficienza e della celerità?
Se non si passa a un sistema che assicuri l'effettività della pena senza la quale viene a mancare l'effetto deterrente della pena e del carcere?
Se non si avvia una seria politica carceraria che garantisca alla collettività l'espiazione della pena e ai condannati di espiarla in condizioni di sicurezza e dignità?
Se non si decide, senza condizionamenti, di riorganizzare e ridisegnare i distretti giudiziari e le sedi di tribunale rispondendo a logiche e criteri di efficienza ed economicità invece che a criteri di patronato e di conservazione di posizione di rendita?
E di fronte a tutto ciò, come pensare di condurre con successo una riforma così importante e ardita se non attingendo alle risorse del Paese devolvendo al sistema giustizia quanto necessario a cambiarne il volto e restituire alla funzione giudiziaria la necessaria ed indefettibile affidabilità e credibilità, libera sempre da condizionamenti e sottoposta solo alla legge.
Credo che un Paese moderno, di fronte al bivio di riformare davvero e impegnare le risorse necessarie, debba adottare la scelta strategica di dotarsi di un sistema giudiziario degno di un paese moderno e occidentale, in linea con le nostre migliori tradizioni giuridiche, sapendo coniugare libertà e diritti, garanzie ed efficienza.
Un sistema giudiziario credibile ed efficiente assicura l'ordinato svolgersi dei rapporti sociali, garantisce il funzionamento delle istituzioni democratiche, restituisce certezza nei rapporti giuridici perchè un processo certo e celere garantisce i rapporti economici e non influisce negativamente sull'impresa e sui capitali investiti.
E pertanto se vogliamo davvero che il pianeta giustizia torni a funzionare e sia degno di un grande Paese moderno e democratico dobbiamo proporre un impegno corale e bi-partisan che riformi il processo per l'accertamento dei fatti e l'esecuzione della pena, che assicuri l'effettività della pena e che garantisca un migliore sistema carcerario, il tutto attingendo a finanziamenti e risorse adeguate senza le quali ogni tentativo di riforma è destinato inevitabilmente a naufragare.
Così, la si smetterà forse di chiedere un processo che abbia l'unico fine ora di condannare l'on. Berlusconi ora di assicurargli l'impunità, a seconda delle appartenenze dalle quali si parla e alle quali si dichiara di aderire.
Mi pare evidente, però, che una legge che si proponga solo di ridurre al durata dei processi senza varare una riforma sistematica e organica, garantita da idonee risorse finanziarie, sia un passo falso che non contribuirà a risolvere nessuno dei problemi innanzi elencati.
E ciò, se mai ve ne fosse bisogno, è dimostrato dal fatto che la stessa Lega Nord si è detta favorevole al provvedimento solo a condizione che ne fosse escluso il reato di clandestinità, nella evidente convinzione che il proposto processo breve non garantisce assolutamente che i processi per reati di clandestinità giungano a conclusione prima della prescrizione dei due anni per ogni grado di giudizio.
Ed inoltre, questa leggina provoca gravi ed insopportabili disparità di trattamento fra imputati incensurati e imputati già censurati (quasi che per questi ultimi il sistema delle garanzie possa essere trasformato in un optional non necessario) e fra imputati nel processo di primo grado e imputati nei processi in gradi successivi aprendo così un nuovo probabile fronte sulla incostituzionalità della legge, in un Paese in cui anche le decisioni della Corte Costituzionale sono state tacciate, senza alcun senso delle istituzioni (va detto), di partigianeria.
Ed ancora questa leggina provocherà la prescrizione e l'estinzione di migliaia e migliaia di processi, funestando l'aspettativa di giustizia di altrettanti cittadini e minando la loro fiducia nello Stato, rapporto di fiducia che invece va ricostruito e assicurato ben saldo come valore condiviso per assicurare la coesione sociale e la credibilità nelle istituzioni democratiche.
Auspico infine che il Partito Democratico apra la discussione su questi, come su altri temi, ai cittadini e con i cittadini aprendosi finalmente al loro contributo, viatico di un vero ed effettivo rinnovamento.
Il nostro Partito per essere moderno e riformista non può non partire dalla società, dalla comprensione e dallo studio dei suoi problemi facendo leva sulle energie migliori di tutti gli uomini e di tutte le donne, valorizzandone le qualità e assecondandone le aspirazioni, disponibili a dare un contributo alla costruzione e all'affermazione del più grande partito riformista d'Italia.
Oria 13 novembre 2009
Avv. Tommaso Carone
Consigliere Comunale P.D. di Oria

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