giovedì 3 dicembre 2009

(in)giustizia è fatta

OMICIDIO DE STRADIS. SEPOLTO VIVO DAL BRANCO A 17 ANNI. LE MOTIVAZIONI DELLA CONDANNA ARRIVANO DOPO 40 MESI E INTANTO UNO DEGLI ASSASSINI RITORNA IN LIBERTÀ

di Eliseo Zanzarelli, Demomagazine n.31

L’omicidio di Joseph De Stradis, assurto ai disonori delle cronache nazionali nella sua tragicità, può a distanza di un lustro dirsi ufficialmente risolto. I tre responsabili sono stati assicurati alla Giustizia e tutti condannati in primo grado. Due vicende giudiziarie chiuse, una ancora apertissima. È quella di Luigi Caffa, all’epoca dei fatti 20enne (adesso 25enne).
Per lui dispositivo di condanna a 16 anni in abbreviato nell’ottobre 2005, poi una lunga attesa fino allo scorso febbraio.
Il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Taranto Ciro Fiore se l’è presa comoda: gli ci son voluti 40 mesi per spiegare le ragioni della decisione presa quattro anni prima, per depositare cioé la motivazione della sentenza. L’omicida, nel frattempo, è uscito di galera causa scadenza dei termini di carcerazione preventiva (un anno) e ha potuto tranquillamente incrociare gli sguardi dei genitori del povero Joseph, portato via con la forza, insultato, torturato e sepolto ancora in vita sotto la sabbia in località Torre Borraco, marina di Manduria. Il pubblico ministero Ciro Saltalamacchia, Procura della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, ha potuto impugnare la sentenza solo lo scorso aprile, 42 mesi dopo la pronuncia del gup Fiore.
A 48mesi dal dispositivo, il processo d’appello non è stato ancora fissato.

IL FATTO.
Era il 20 aprile 2004 quando il branco entrò in azione. In tre costrinsero con la forza il 17enne Joseph De Stradis, per tutti Joe, a montare in macchina e lo portarono via da Oria, destinazione aldilà. Il falegname 61enne (oggi di anni ne ha 66) Francesco Fullone e due giovinastri suoi sodali, il 20enne (oggi 25) Luigi Caffa e il 17enne (oggi 22) Fabio Palazzo erano determinati: Joe l’avrebbe dovuta pagare una volta per tutte.
Da tempo aveva fi ccato il naso nelle faccende di Fullone, moglie e tre fi gli, e scoperto che questi aveva molestato e continuava a importunare una ragazzina sua amica. L’ultrasessantenne non sopportava che Joe frequentasse la ragazza e cercasse addirittura di proteggerla dalle sue morbose attenzioni.
È qui che scattò "la vendetta". I tre, come emerso dalle indagini successive quasi legati da un patto di sangue, misero in pratica un piano studiato a tavolino e sequestrarono il ragazzo.
Caricatolo in macchina come un sacco di patate, gli legarono i polsi con del fil di ferro. Dapprima si diressero a Francavilla, cabina telefonica.
Qui Joe chiamò, dietro “gentile” invito degli altri, proprio la ragazza: “S., sono Joe. Sono costretto. Veniamoci incontro, non roviniamo famiglie”, le disse in tono concitato. Lei capì subito, ma era già troppo tardi, il “piano” non si sarebbe fermato né lì né in quel modo. Il piano prevedeva un’escursione a mare, l’ultima volta di Joe, madre e padre all’epoca separati già da quattro anni, sulla spiaggia. Il ragazzo se l’era già vista brutta l’11 settembre 2001, quando assieme a papà Lino si era ritrovato a pochi metri dalle Torri Gemelle al momento dell’attentato. I due, avendo respirato terrore morte e polvere, scamparono all’ecatombe e la poterono raccontare. Forse pensarono che qualcuno, da lassù, li aveva protetti e potesse continuare a farlo. Ogni certezza svanì quella sera sul fi nire dell’aprile 2004.
Da Francavilla a Torre Borraco, marina di Manduria, il viaggio dovette essere pesantissimo per Joe, relegato sui sedili posteriori e tenuto a bada da due dei suoi carcerieri (il terzo era alla guida). Tra essi, fi nanche quello che fino a pochi istanti prima reputava un amico, uno dei suoi migliori amici: Fabio Palazzo, 17enne come lui. Una volta sul litorale jonico, la penultima fase del “disegno”, quella delle percosse e della tortura (è emerso pure il particolare di sevizie con un cacciavite), secondo le indagini preordinata all’uccisione. Il colpo di grazia o meglio i colpi di grazia furono assestati, però, con un corpo contundente, si presunse un attrezzo da lavoro del carpentiere, probabilmente un martello, poi bruciato. L’ultima fase consistette nel seppellire il povero ragazzo, creduto definitivamente morto.
Gli fu scavata una fossa nella sabbia e in fondo vi fu scaraventato il corpo senza sensi. Joe, si è scoperto in seguito, respirava ancora quando si ritrovò nel sottosuolo. In sostanza, agonizzante, soffrì ulteriormente. I tre balordi, Fullone Caffa e Palazzo, dopo la “missione” fecero ritorno a Oria. La “mente” del branco, l’ideatore della spedizione punitiva, l’artigiano, non era affatto pago dell’impresa poco prima portata a compimento. Così, di rientro a casa, decise di far visita al padre di Joe suo conoscente, il signor Lino, dal quale si fece addirittura offrire un caffè.
Come se nulla fosse accaduto, come se non gli avesse ucciso il figlio. Il cadavere, in cattivo stato di conservazione com’era ovvio che fosse sotto l’arenile, quattro giorni dopo la sepoltura fu scoperto per caso da alcuni passanti: dalla sabbia spuntava una scarpa. Era di Joe. Le indagini partirono a razzo e il clamore di un crimine così efferato balzò ai disonori delle cronache nazionali. I responsabili, inizialmente recalcitranti poi collaborativi con le forze dell’ordine, vennero presi a stretto giro di posta. Pure il movente fu ricostruito in brevissimo tempo. Da qui presero avvio le vicende processuali di Francesco Fullone, Luigi Caffa e Fabio Palazzo, a conclusione delle indagini tutti rinviati a giudizio.

I PROCESSI.
Tre capi d’imputazione per ciascun componente del branco: sequestro di persona, omicidio volontario e occultamento di cadavere. Il carpentiere Francesco Fullone e il suo legale, Giancarlo Camassa di Latiano, optarono per il rito ordinario o, meglio, non optarono per quelli alternativi. La Corte d’Assise di Taranto, presieduta dal giudice Anna Maria La Stella, lo condannò in data 25 maggio 2006 alla pena dell’ergastolo. Il difensore impugnò la decisione e in Corte d’Assise d’Appello, al termine delle “concertazioni” tra avvocato e Procura, la condanna scese dal carcere a vita a 30 anni. Questo, relativamente presto, era l’8 giugno 2007.
L’allora minorenne Fabio Palazzo, coetaneo della vittima, difeso dall’avvocato Giovanni Luigi De Donno di Manduria, fu processato dal gup con rito abbreviato (su esplicita richiesta di parte) in base allo stato degli atti del procedimento, saltando così la fase dibattimentale. Condanna a 12 anni datata 11 novembre 2005 inflittagli dalla Corte d’Assise sezione Minori. Palazzo poté beneficiare del processo minorile quasi per un pelo: l’omicidio risaliva all’aprile e avrebbe soffiato sulle 18 candeline nel giugno successivo. Il percorso giudiziario del terzo imputato, l’oggi 25enne Luigi Caffa, è stato ed è (presente obbligatorio) ben più controverso, rispetto a quello dei correi. Il dispositivo di condanna,anche per lui a seguito di abbreviato, giunse relativamente presto, il 31 ottobre 2005: 16 anni di reclusione per i reati di omicidio volontario e occultamento di cadavere al netto degli sconti di pena legati alla richiesta del rito alternativo e alla concessione delle attenuanti generiche. Assistito dall’avvocato Pasquale Annicchiarico di Oria, Caffa fu assolto dall’imputazione di sequestro di persona. Mentre il dispositivo arrivò per tempo, così non è stato per la motivazione, per la disperazione delle parti civili (i parenti di Joe), mamma Anna Ungaro, papà Lino e fratello Jonathan De Stradis, assistiti nel processo rispettivamente dagli avvocati Gianluca Schifone di Oria, Fausto Passaro di Francavilla e Antonio Maurino di Brindisi. Il filo logico-giuridico seguito dal gup del Tribunale di Taranto Ciro Fiore è stato reso noto solo il 16 febbraio 2009, 40 mesi dopo il dispositivo di condanna. Nel frattempo, decorsi i 12 mesi di carcerazione preventiva, l’imputato è uscito di galera e ha potuto tranquillamente incrociare gli sguardi dei congiunti di Joe.
Al sostituto procuratore Ciro Saltalamacchia la motivazione è stata comunicata solo il successivo 19 marzo, dopodiché ha potuto impugnare la sentenza. Lo ha fatto il 17 aprile contestando: l’assoluzione di Caffa dal reato di sequestro di persona; la concessione delle attenuanti generiche (quelle che hanno fatto scendere la pena fino a 16 anni); “la determinazione della pena sia in relazione al reato base di omicidio volontario sia all’aumento ex articolo 81 Codice penale
(‘Concorso formale. Reato continuato’)”. La data d’avvio del processo d’appello, e non avrebbe potuto essere altrimenti, non è stata ancora fi ssata. Come dire, (in)Giustizia, per il momento, è fatta.

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