lunedì 15 giugno 2009

Argo, il mio compagno di pesca.

di Antonio Almiento, vincitore 1° premio Concorso Racconti nel blu, Pesca e Sub, maggio 2009


Mai da soli.
Questo è sicuramente l'insegnamento ed il consiglio che ciascun pescatore subacqueo deve avere sempre a mente quando va per mare. Nel mio caso la scelta del compagno, alquanto inusuale, è stata dettata un po' dalla mia indole, un po' dalla difficoltà di far coincidere i miei orari di uscita in mare con quelli di altri appassionatí; così, Argo, il mio amico a quattro zampe, ha pensato bene di offrirsi con costanza per questa "insolita missione", almeno per un simpatico esemplare di Pastore Tedesco dai natali anagraficamente incerti.
Quando ti ho raccolto per strada, cucciolo, spellacchiato e infreddolito, non avresti mai pensato verso quale sorte stavi andando incontro. Ma tanto è. Non che tu abbia mai indossato una muta o dato una sbirciatina sotto la superficie del mare, ma potresti raccontare di struggenti tramonti e tiepide aurore trascorse sulla spiaggia (finalmente libero!) ad attendermi o ad accompagnarmi fiducioso. Non so se tu abbia mai capito cosa accidenti spinga un padre di famiglia, un impiegato, un disoccupato, un avvocato ad immergersi, con qualsiasi tempo e a qualsiasi costo, in quel blu profondo che ci accoglie e ci sovrasta, ma non ci opprime, o nella schiuma spumeggiante del sottocosta che invece ci culla, ci sbalza e ci capovolge. Caro amico, non è la speranza di una memorabile cattura che ci muove, ma solo la voglia di spogliarci di tutti i titoli, i formalismi, le convenzioni, i nomi e i timori per un futuro quantomeno incerto, per mescolarci con l'acqua e diventare, per un momento, che vorremmo infinito, onda, sabbia, scoglio, pesce e recuperare quell'ancestrale rapporto con la natura selvatica cui mai abbiamo veramente rinunciato. Se la terra è la nostra madre, quando io entro in acqua, caro Argo, ritrovo nel mare un padre fermo e rigoroso, che sa punire, ma anche premiare, riservando ai nostri occhi scene, spettacoli, colori e profumi che porteremo nel cuore per sempre. Ti ricordi la mattina del 23 settembre di sette anni fà, tu mi attendevi ansimante sul bagnasciuga ormai abbandonato dalla calca estiva, mentre io pescavo nel sottoscosta, con l'onda di scirocco montante, lungo il litorale pugliese compreso tra Campomarino e S. Pietro in Bevagna (precisamente località Borraco), alternando agguati a brevi aspetti in poca acqua. Dopo aver cucito un bel cefalo (per fortuna) e sbagliato vario altro pesce bianco, ma non per que5to amareggiato, tentavo di attuare un breve aspetto in un paio di metri d'acqua, con l'onda che, ingrossata, mi impediva di mantenere un buon assetto. In quell'attimo vidi giungere dalla mia destra una grossa (almeno per me) leccia. Viaggiava troppo distante dalla portata del mio arbalete da 75, per cui, ripassando in in secondo tutti i consigli pubblicati sulle riviste che mi vennero in mente, tentai di incuriosirla erogando qualche bollicina dalla bocca. L'intuizione fu esatta e la splendida creatura, tornata indietro, mi sfilò diagonalmente ad un paio di metri di distanza. Scoccai il tiro non molto fiducioso, pago comunque del bellissimo spettacolo che la natura mi aveva offerto. Ebbi solo il tempo, in quella plastica frazione di secondo che consegue lo sparo e precede la vaporizzazione dell'animale, di vedere che la freccia aveva interamente trapassato il bersaglio. Non avendo montato il mulinello sul fuci le, nuotai con tutte le forze verso la leccia che intravedevo in trasparenza, seguendo il monofilo, fino a raggiungerla e ad abbracciarla, in una stretta, purtroppo, per lei fatale. Dopo una breve lotta, l'uomo, dopo ore di immersione e dopo varie padelle, aveva avuto la sua preda, il suo cibo, senza compromessi e senza imbrogli, solo uomo e mare. Anche quella volta, come tante altre, Argo, accogliendomi, tu felice ed io grondante, avresti avuto la tua parte. Ora, purtroppo, caro amico non ci sei più, stroncato da quella gente che usa spargere sui campi indiscriminatamente, per sterminare l'erba, letali veleni, incurante del disastro che arreca all'ambiente, inquinandone irrimediabilmente la terra e le falde acquifere. Pensando ti facesse bene, in un momento di libertà in campagna, hai mangiato di quella deliziosa e dannata erbetta e come quella, malgrado ogni tentativo, ti ho visto appassire, impotente e incapace di mettere fine in anticipo alle tue sofferenze. Da allora spesso mi capita di pensare a quando mi attendevi fremente e ansimante sulla spiaggia, durante le mie lunghe pescate, desideroso e incapace di immergerti; tuttavia, proprio da quel 12 di ottobre del 2002, ogni volta che vado in mare, io sento che tu mi raggiungi dal Paradiso degli animali, per scodinzolare, finalmente, accanto a me NEL BLU.

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