di Sonia Gioia, Il Quotidiano, 10.4.2009
Lo chiamano confronto all'americana, una bizzarria che il codice penale del Belpaese proprio non contempla. Da queste parti, al massimo, si parla più terra terra di confronto e basta, rinunciando alle suggestioni semantiche delle spy story poliziesche in salsa anglosassone. Ma la sostanza quella resta, e il sospirato faccia a faccia è andato in scena, ieri mattina. Location, la stanza del sostituto procuratore Raffaele Casto, quinto piano della procura brindisina, terzo fra accusato, Gilberto Conte, 48 anni, e accusatore, il dipendente della Monteco autore della denuncia. A1 fianco del vigile, accompagnato dagli angeli custodi del penitenziario in via Appia, l'avvocato Pasquale Fistetti. Alle spalle del denunciante invece, spoglio come la legge che fa e deve far fede sulla sua sola parola, c'erano gli uomini della squadra mobile, autori delle indagini che hanno portato Conte in galera insieme alla presunta banda dei quattro (un quinto uomo è indagato a piede libero), accusata di tentata estorsione aggravata in concorso ai danni della ditta incaricata della raccolta e del conferimento in discarica dei rifiuti per conto dei comuni in seno all'Ato Br/2: gli oritani Saverio Capilunga, 38 anni, Giovanni Biasco, 33 anni e il brindisino Alfredo Italiano, 27 anni.
Nel corso degli interrogatori di garanzia i sodali, veri o presunti, si sono rinserrati in un mutismo strategico, fintanto che, hanno chiarito i legali, le indagini non giungeranno a un punto fermo. Allora si vedrà.
Conte no. Ha proclamato la propria innocenza fin dai primi istanti, al fianco degli agenti in pettorina blu che lo accompagnavano nella dimora scomoda prescrittagli dal giudice per le indagini preliminari Antonia Martalò. E' stato lui a chiedere il sequestro dei suoi cellulari e dell'agendina telefonica. Ha chiesto anche il beneficio dei domiciliari, che Pasqua è Pasqua per tutti, richiesta respinta al mittente dal magistrato, in attesa che sia il tribunale delle Libertà a pronunciarsi, altri dieci 'giorni massimo d'attesa. Ed ha chiesto soprattutto un confronto con il suo accusatore, all'americana o no, a chi vive ore d'angoscia come le sue, poco importa. Faccia a faccia, per volontà precipua del pm, infine è stato. Per stabilire, in via definitiva, se il vigile urbano abbia svolto oppure no, il ruolo di intermediario a favore del cugino Saverio Capilunga, spalleggiando gli interessi del gruppo criminale, nel fatidico incontro del 6 marzo scorso. L'agente di polizia municipale non ha mai negato che quell'incontro fra Capilunga, il dipendente della Monteco già destinatario di tentativi intimidatori da parte di italiano e Biasco, e lui ci sia stato. Ma non pronunciò mai verbo accentato di minaccia o favoreggiamento, mai. Questo ha sempre detto.
L'avvocato Fistetti, al fianco del quale Conte ha vinto la prima, altrettanto angosciosa, battaglia giudiziaria della sua vita (accusa di peculato dalla quale l'agente è stato assolto con formula piena), ha registrato una ad una quelle che chiama "contraddizioni" da parte dell'accusatore. Alla domanda su quali furono i toni di quel colloquio, il dipendente della Monteco pare abbia risposto: "Cordiali, amichevoli. Mi raccomandò l'assunzione del parente". Altro dunque dall'ipotesi caldeggiata dall'accusa, ossia che quell'assunzione sarebbe valsa come moneta di scambio per zittire le pretese estorsive del gruppo. E ancora. Al quesito sul giorno esatto dell'incontro, e se Conte indossasse o meno la divisa, l'accusatore, sempre secondo la difesa, ha risposto che il giorno era il sei, e l'agente sì, era in uniforme. "Impossibile - dice Fistetti -. Il mio assistito quel giorno non era in servizio". Dettagli che potrebbero fare la differenza nel giudizio che verrà, intanto Conte torna in carcere, dopo un'ora e mezza di confronto serrato dal quale dipendono le ansie di libertà, e di giustizia di entrambe le parti.
Lo chiamano confronto all'americana, una bizzarria che il codice penale del Belpaese proprio non contempla. Da queste parti, al massimo, si parla più terra terra di confronto e basta, rinunciando alle suggestioni semantiche delle spy story poliziesche in salsa anglosassone. Ma la sostanza quella resta, e il sospirato faccia a faccia è andato in scena, ieri mattina. Location, la stanza del sostituto procuratore Raffaele Casto, quinto piano della procura brindisina, terzo fra accusato, Gilberto Conte, 48 anni, e accusatore, il dipendente della Monteco autore della denuncia. A1 fianco del vigile, accompagnato dagli angeli custodi del penitenziario in via Appia, l'avvocato Pasquale Fistetti. Alle spalle del denunciante invece, spoglio come la legge che fa e deve far fede sulla sua sola parola, c'erano gli uomini della squadra mobile, autori delle indagini che hanno portato Conte in galera insieme alla presunta banda dei quattro (un quinto uomo è indagato a piede libero), accusata di tentata estorsione aggravata in concorso ai danni della ditta incaricata della raccolta e del conferimento in discarica dei rifiuti per conto dei comuni in seno all'Ato Br/2: gli oritani Saverio Capilunga, 38 anni, Giovanni Biasco, 33 anni e il brindisino Alfredo Italiano, 27 anni.
Nel corso degli interrogatori di garanzia i sodali, veri o presunti, si sono rinserrati in un mutismo strategico, fintanto che, hanno chiarito i legali, le indagini non giungeranno a un punto fermo. Allora si vedrà.
Conte no. Ha proclamato la propria innocenza fin dai primi istanti, al fianco degli agenti in pettorina blu che lo accompagnavano nella dimora scomoda prescrittagli dal giudice per le indagini preliminari Antonia Martalò. E' stato lui a chiedere il sequestro dei suoi cellulari e dell'agendina telefonica. Ha chiesto anche il beneficio dei domiciliari, che Pasqua è Pasqua per tutti, richiesta respinta al mittente dal magistrato, in attesa che sia il tribunale delle Libertà a pronunciarsi, altri dieci 'giorni massimo d'attesa. Ed ha chiesto soprattutto un confronto con il suo accusatore, all'americana o no, a chi vive ore d'angoscia come le sue, poco importa. Faccia a faccia, per volontà precipua del pm, infine è stato. Per stabilire, in via definitiva, se il vigile urbano abbia svolto oppure no, il ruolo di intermediario a favore del cugino Saverio Capilunga, spalleggiando gli interessi del gruppo criminale, nel fatidico incontro del 6 marzo scorso. L'agente di polizia municipale non ha mai negato che quell'incontro fra Capilunga, il dipendente della Monteco già destinatario di tentativi intimidatori da parte di italiano e Biasco, e lui ci sia stato. Ma non pronunciò mai verbo accentato di minaccia o favoreggiamento, mai. Questo ha sempre detto.
L'avvocato Fistetti, al fianco del quale Conte ha vinto la prima, altrettanto angosciosa, battaglia giudiziaria della sua vita (accusa di peculato dalla quale l'agente è stato assolto con formula piena), ha registrato una ad una quelle che chiama "contraddizioni" da parte dell'accusatore. Alla domanda su quali furono i toni di quel colloquio, il dipendente della Monteco pare abbia risposto: "Cordiali, amichevoli. Mi raccomandò l'assunzione del parente". Altro dunque dall'ipotesi caldeggiata dall'accusa, ossia che quell'assunzione sarebbe valsa come moneta di scambio per zittire le pretese estorsive del gruppo. E ancora. Al quesito sul giorno esatto dell'incontro, e se Conte indossasse o meno la divisa, l'accusatore, sempre secondo la difesa, ha risposto che il giorno era il sei, e l'agente sì, era in uniforme. "Impossibile - dice Fistetti -. Il mio assistito quel giorno non era in servizio". Dettagli che potrebbero fare la differenza nel giudizio che verrà, intanto Conte torna in carcere, dopo un'ora e mezza di confronto serrato dal quale dipendono le ansie di libertà, e di giustizia di entrambe le parti.
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