giovedì 20 settembre 2007

Lettera aperta a Cosimo Mazza.In occasione della vendita del Castello - Ricordi, timori, speranze e proposte. Prof Cosimo Mazza

(Oritano, 20.9.2007)

Oria, 30 agosto 2007
(giorno dedicato alla festa di San Barsanofio)

Caro Nonno,
erano i primi giorni di febbraio del 1948, quando tu chiamasti a te i tuoi nipoti per l’ultimo saluto. Ne avevi otto allora, di nipoti. Io ero il più grandicello, da qualche mese avevo compiuto dieci anni e frequentavo la prima classe della scuola media, a Francavilla Fontana: ero riuscito ad evitare il Seminario, grazie a ciò che disse don Barsanofio Chiedi a mio padre, che era suo figlioccio. Chiedesti che ci avvicinassimo a te uno alla volta. Da ciascuno di noi ti accomiatasti con delle belle parole e qualche raccomandazione.
Raccogliendo le tue ultime forze, ci stringesti al petto e ci desti il bacio di addio.

Io non ho mai dimenticato le tue ultime parole, soprattutto nei momenti critici, quando nel tuo ricordo ho trovato la forza per superare difficoltà a prima vista insormontabili.

Dopo la tua partenza, tra le tue poche carte, fu rinvenuto un biglietto scritto da te col lapis. Con quel biglietto lasciavi a mio padre, e poi a me, alcune incombenze, tra le quali quella di accendere una lampada ad olio sulla tua tomba nelle ricorrenze festive, come quella odierna: la festa di San Barsanofio. Per decenni la lampada ad olio non è mancata, ma successivamente, e da molti anni ormai, è stata sostituita da quella elettrica. A volte ho trascurato di venire a trovarti a Camposanto, ma ho sempre avvertito il bisogno di dialogare con te o addirittura di affidarmi alla tua protezione, come quella volta - ricordi? - quando mi sollevasti da terra e mi avvolgesti nel tuo mantello (la cappa), stringendomi tra le tue vigorose braccia, per sottrarmi all’ira di mio padre.

Ti scrivo non per parlarti di cose familiari, ma per informarti di alcuni fatti che si stanno verificando proprio in questi giorni e di cui forse ancora non ti è giunta notizia.
Sono convinto che quanto ti dirò ti arrecherà dispiacere, ma non posso fare a meno di parlartene e di cercare di fare con te alcune considerazioni.

La famiglia Martini Carissimo, che tu hai servito con fedeltà per tutta la vita, ha venduto anche il Castello e, di conseguenza, si è incamminata su una strada al termine della quale, inevitabilmente, vi è la fine del rapporto con Oria. Non ti sembrerà vero, ma è proprio così.
“Panta rei” diceva Eraclito. Il tempo scorre e tutto cambia e passa!

Mutamenti sociali dopo la seconda guerra mondiale. Da quando tu sei andato via sono cambiate tante cose, in particolare il modo di sentire, di pensare, di essere della gente. Con la seconda guerra mondiale la nostra società si è profondamente trasformata. L’Italia non ha più una economia basata sulle attività agricole, ma è uno dei Paesi più industrializzati del mondo. La vecchia borghesia terriera ha perso il potere economico e, quando non si è adeguata alle innovazioni, è tramontata!

Nel secolo scorso, come ben sai, ci sono state due guerre.
La seconda ha portato lutti e distruzioni più della prima, di quella che tu hai combattuto sul fronte, avendo nel cuore la sofferenza della moglie e di quattro figli rimasti in Oria; al riparo dalle granate, ma soli ed in povertà a oltre mille chilometri di distanza, in un momento difficile e drammatico della vita familiare. In quel periodo, mentre tu eri lontano, si erano verificati due fatti che segnarono profondamente la vita della nostra famiglia: era morto in guerra, giovanissimo e già promosso Capitano, un fratello della nonna, studente di Matematica e Fisica all’Istituto Tecnico di Lecce; subito dopo, quasi certamente come conseguenza, la nonna si era ammalata di cuore, malattia che in seguito l’avrebbe portata alla tomba.

Rispetto alla prima, la seconda fu una guerra “totale” e “assoluta”: fu combattuta con ogni mezzo e coinvolse l’intera società civile, senza alcuna distinzione tra chi era al fronte e chi era rimasto a casa. Se la prima guerra, al di là del sacrificio di centinaia di migliaia di vite umane, in qualche modo aveva favorito, nella lunga e drammatica vita di trincea, la conoscenza tra giovani provenienti da diverse regioni d’Italia, la seconda – sia pure in un quadro d’immane tragedia – fece maturare nell’animo degli Italiani il desiderio di essere uomini liberi e la volontà di cercare nelle loro capacità le ragioni e le regole dello stare insieme, di valutare e decidere le proprie cose senza più affidarsi all’uomo della Provvidenza e di cominciare ad operare per liberarsi finalmente di un retaggio secolare fatto di “signor si”, sfruttamento, ignoranza e miseria.

La nascita della Repubblica.
Col referendum popolare del 1946 – al quale anche tu, sia pure con qualche incertezza, partecipasti ed al quale presero parte attiva anche le donne, esercitando per la prima volta il diritto di voto – gli Italiani si liberarono della “Monarchia”, scelsero la “Repubblica” ed elessero l’Assemblea Costituente. L’orientamento in favore della Repubblica prevalse soprattutto per la volontà degli elettori del Nord; nel Centro-sud, in particolare nel Sud, ci fu una maggiore resistenza al cambiamento, forse per ignoranza o per una sorta di atavica pigrizia o per la permanenza nell’inconscio dei residui della non felice esperienza dell’unificazione del 1860, che aveva arrestato lo sviluppo del meridione, considerato semplice terra di conquista dai Piemontesi, ed aveva generato, o comunque accentuato, il drammatico problema dell’Italia a due velocità. Mentre tu eri ancora qui, con noi, l’Assemblea Costituente aveva già terminato i suoi lavori e da appena un mese era entrata in vigore la nuova Carta costituzionale, attraverso la quale doveva compiersi il processo di unificazione degli Italiani.
Lo Statuto – concesso da Carlo Alberto un secolo prima al piccolo Regno di Sardegna e poi esteso al Regno d’Italia – finalmente era stato sostituito. La nuova Costituzione, elaborata dai rappresentanti del popolo italiano liberamente eletti, sanciva la nascita di uno Stato unitario, democratico, fondato sul lavoro, sulla giustizia e sulla libertà. A tutti i cittadini, senza distinzione alcuna, erano riconosciuti e garantiti la “pari dignità sociale” e il diritto all’istruzione.

Finalmente una scuola “aperta a tutti”! Ci pensi, nonno? Anche tu, che eri stato costretto a fermarti alla terza classe elementare, avresti potuto continuare a studiare, “raggiungere i gradi più alti” dell’istruzione e partecipare concretamente “all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

La situazione sociale in Oria prima dell’avvento della Repubblica.
Tu hai avuto la sventura di vivere l’età migliore per la formazione (infanzia, fanciullezza e giovinezza) in un periodo in cui miseria e fame favorivano l’analfabetismo e spingevano gran parte delle forze vitali del Paese (in particolare del meridione d’Italia), governato da una classe dirigente preoccupata quasi esclusivamente di conservare i privilegi costruiti sull’ignoranza e sullo sfruttamento, a cercare altrove la soluzione ai problemi dell’esistenza, come succede ora alle popolazioni dell’altra sponda del Mediterraneo.

In quel tempo in Oria, questa nostra piccola Comunità che nei secoli si era formata intorno al “Castello” e alla “Cattedrale”, vi era una situazione sociale che può essere così rappresentata:
a) poche famiglie padronali detenevano gran parte della proprietà e il potere;
b) le stesse famiglie erano in costante lotta tra loro per la gestione del potere pubblico;
c) una massa di popolani, analfabeti o semianalfabeti, che disponevano solo delle braccia e della prole;
d) un clero, abbastanza numeroso, ma in gran parte formato da persone che avevano visto nella Chiesa solo uno strumento di elevazione sociale (molti preti e poca vocazione!);
e) la mancanza assoluta di servizi sociali;
f) figli che, sin dalla più tenera età, seguivano i padri in una vita di stenti e di fatica;
g) una educazione servile, che permetteva di imparare poco, per imitazione e secondo tradizione.
Dominava una secolare mentalità servile, di origine medioevale, basata soprattutto su uno sproporzionato rapporto economico tra le due principali componenti sociali. Ciò si poteva rilevare in alcune tipiche manifestazioni esteriori e, soprattutto, in certe forme legali di sfruttamento che permettevano ai ricchi di diventare sempre più ricchi ed ai poveri come te di riuscire appena a sopravvivere senza pretese, impegnando nel lavoro la moglie e prematuramente, molto prematuramente, anche i figli.
La tua sofferenza.
Tu soffrivi certamente di questa realtà, anche se rispetto ad altri ti trovavi in una situazione di grande privilegio: prima eri vissuto sotto la protezione del Senatore, poi sotto quella del Conte, dei quali godevi la massima fiducia e che ti assicuravano un compenso annuale in “natura” (le provviste), un tetto ed un modestissimo salario.
Soffrivi quando ti toccava “stimare” il raccolto delle terre concesse in una forma atipica di “mezzadria” o in “colonia parziaria”. Questi istituti erano, pure essi, di origine medioevale, in cui la ripartizione del prodotto era stabilita dalla consuetudine o dal contratto: nella prima (la mezzadria) con una divisione al 50% e nella seconda (la colonia parziaria), molto diffusa nel nostro territorio nella forma del contratto“a quinto”, con la divisione del prodotto in cinque parti, delle quali tre spettavano al padrone (il “concedente”) e due al lavoratore (il “colono”), che aveva faticato per un anno intero.
Con benevolenza tu chiudevi sempre un occhio in favore del lavoratore, probabilmente col paternalistico consenso del padrone.
Che tristezza! Per fortuna a questa ingiustizia ha provveduto la dea Nemesi.

Oggi la situazione è cambiata radicalmente, forse un po’ troppo radicalmente! Devo confessarti, caro Nonno, che di fronte a questi profondi mutamenti epocali in me si contrappongono due sentimenti: gioia e dolore. Gioisco perché finalmente vedo trionfare una forma di giustizia riparatrice delle inique esperienze di vita sofferte a vantaggio di padroni che, anche se benevoli, erano pur sempre padroni, ai quali si doveva obbedienza pena la miseria e la fame, per sé e per la propria famiglia; soffro perché vedo esaurirsi una forma di civiltà che ha caratterizzato un lungo periodo della nostra storia e perché, egoisticamente, quell’età di irresponsabile spensieratezza (l’infanzia e la fanciullezza) non è più.

La “rivoluzione” repubblicana. Nel 1948, qualche mese dopo la tua partenza, fu eletto il primo parlamento della Repubblica Italiana (Camera dei Deputati e Senato): si avverava finalmente il sogno di tanti giovani che nel secolo precedente, incitati dall’insegnamento del Mazzini, non avevano esitato a sacrificare la loro stessa vita, perché l’Italia fosse una, libera, indipendente e repubblicana.

Nella Costituzione repubblicana non sono più usati i termini “regnicolo” o “suddito”, si parla solo di “cittadino”, ossia di persona titolare di diritti e soggetta ai doveri stabiliti dalla legge; sono scomparse le concessioni paternalistiche e si indicano con chiarezza i diritti e i doveri del cittadino, i principi fondamentali dell’organizzazione democratica della società, la composizione e le modalità di elezione del Parlamento, la divisione dei poteri tra gli organi dello Stato, la struttura amministrativa del Paese, e via dicendo.

Ci pensi, caro Nonno, anche il Senato è eletto a suffragio universale e diretto, ha la durata di cinque anni e non è più nominato dal sovrano che sceglieva a suo piacimento, e senza limiti, tra diverse categorie privilegiate di sudditi, compresa quella di chi aveva solo il “merito” di pagare da tre anni – in ragione dei beni posseduti – “tremila lire d’imposizione diretta”.

Oggi non è più possibile diventare Senatore per censo: il “tuo” Senatore, per essere tale, si sarebbe dovuto sottoporre al giudizio degli elettori, e non solo di quelli titolari di una certa imposta; comunque, non lo sarebbe più stato a vta, a meno che allo scadere del mandato non fosse stato sempre rieletto. Oggi la ricchezza, da sola, non è più sufficiente a collocare chiunque in una categoria di privilegiati e a permettergli di sperare di essere chiamato, dopo i quarant’anni, a sedere su uno scanno senatoriale.

Nonno, sto parlando di quella ingente ricchezza che uno non può accumulare solo col proprio lavoro, ma che nasce dallo sfruttamento del lavoro altrui e dall’acquisizione furbesca di beni, come quella che si ebbe allorquando i possedimenti della Chiesa furono incamerati e successivamente messi all’asta, o comunque venduti, dallo Stato. Mi riferisco a ciò che accadde al tempo della dominazione francese, di Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, e nel periodo post unitario.

All’epoca tu non eri ancora nato o eri troppo giovane, ma tuo padre, o altri nostri antenati, come tanti altri sudditi di Sua Maestà o cittadini della Repubblica Partenopea, ebbero per caso la possibilità di acquistare qualcosa? O, per riferirci solo a tempi più recenti (il periodo successivo alla conquista garibaldina), furono tra quelli (la maggioranza della popolazione) che subirono la “farsa del plebiscito”? Non mi risulta, ad esempio, che un mio bisnonno abbia potuto acquistare alcunché: egli rimase fuori dalle tante “frodi” messe in atto dai funzionari incaricati della vendita dei beni ecclesiastici e dalla corruzione che si accompagnò alla venuta dei Piemontesi.
Ebbe paura della scomunica lanciata dalla Chiesa contro coloro che acquistavano i beni che le erano stati tolti ? O, più realisticamente, non aveva i soldi per pensare di poter fare un qualsiasi acquisto? Probabilmente si trattò dell’una e dell’altra cosa, ma soprattutto della mancanza di soldi. Allora? Aveva ragione Proudhon quando affermava che la proprietà è un furto!

Sarebbe interessante capire come si era formata la ricchezza di alcune famiglie oritane nel corso del XIX secolo e leggere la realtà storica del nostro territorio nel periodo successivo alla costituzione del Regno d’Italia con un’ottica diversa da quella risorgimentale o del conquistatore piemontese, sostenuto dai tanti interessati fiancheggiatori locali. Ciò sicuramente non cambierebbe i termini della situazione attuale, ma forse potrebbe aiutare a capire meglio l’insorgere della questione meridionale e potrebbe portare a qualche indicazione utile a superare il divario tuttora esistente tra nord e sud d’Italia. Scusami questa divagazione, Nonno. Mi sono lasciato pendere dal tentativo di capire come si era formato un certo modo di pensare e di vivere che ha caratterizzato l’epoca in cui tu sei vissuto, anche per cercare di spiegarmi la tua scrupolosa fedeltà ad una famiglia e la tua morte in povertà.

Alcune novità della nuova Carta Costituzionale. Il peggioramento della tua salute non ti consentì di fermarti con noi ancora per qualche tempo e di conoscere il testo della nuova Costituzione; di scoprire che, dopo la dolorosa esperienza delle due guerre e lo sgomento per le conseguenze dell’esplosione nucleare (Hiroshima e Nagasaki), l’Italia repubblicana, quella del tricolore senza più l’emblema dei Savoia, sarebbe stata propugnatrice di pace; di renderti conto che, soprattutto per volontà di chi era stato maggiormente provato dalla dolorosa esperienza della dittatura, l’Italia si avviava a diventare un Paese libero, dove a tutti i cittadini veniva riconosciuta la libertà di “associarsi”, di professare la "propria fede religiosa”, di esprimere “il proprio pensiero” a mezzo di una stampa non più soggetta a censura, di istruirsi, esercitare un lavoro e partecipare responsabilmente alla vita della Comunità.

Avresti pure scoperto che la nuova Carta costituzionale, oltre ad una serie di tutele personali, prevede anche la tutela del “paesaggio” e del “patrimonio storico e artistico”, per cui a nessuno sarà mai più consentito di alterare quanto i nostri antenati ci hanno trasmesso.

Se avessi potuto leggere la nuova Costituzione, ti saresti accorto, caro Nonno, che nella nuova Italia i titoli nobiliari non sono più riconosciuti e che tutti i cittadini sono considerati “signori”, con pari dignità sociale, giuridica e politica: tutti sono portatori di diritti e sono tenuti ad assolvere i doveri fondamentali su cui si regge la convivenza civile.

Probabilmente tu avresti provato difficoltà a rivolgerti al Conte non chiamandolo “Signor Conte”, come ti era stato inculcato di fare dopo l’acquisizione del titolo per il restauro del Castello; forse avresti faticato a convincerti che il “don” veniva riservato solo ai preti, oppure non ti sarebbe stato facile abituarti a non toglierti il berretto e a non fare ala al passaggio di un “galantuomo”.

La permuta del Castello con palazzo Martini. Avevi superato d’un pezzo i cinquant’anni e da un anno eri vedovo con cinque figli, di cui una bambina di appena dieci anni, quando un intreccio di interessi si concluse, tra l’altro, con la permuta del palazzo Martini col Castello medioevale: il Municipio ebbe una dimora dignitosa per i suoi Uffici e la famiglia Martini Carissimo divenne proprietaria del Castello, ridotto quasi ad un rudere per effetto del “ciclone” del ‘97 e dell’incuria in cui versava da troppi anni. Queste cose tu le conosci certamente meglio di me, che le ho apprese dal racconto di mio padre e dei miei zii. Ricordi pure quel che accadde quando si trattò di liberare i locali del piano terra del palazzo Martini, ove abitavano le famiglie di alcuni dipendenti “ti lu Signurinu”, tra le quali la tua, che occupava i locali rispondenti ai numeri civici 2, 4 e 6 di via Municipio. Il Com.re Martini Carissimo allora chiese ed ottenne dal Podestà l’usufrutto di quei locali per dieci anni, probabilmente tenendo presente l’età media dei capifamiglia interessati e forse anche la tua resistenza a trasferirti in altra abitazione per ragioni affettive: lì era morta prematuramente la nonna e lì volevi rimanere e sei rimasto sino alla fine dei tuoi giorni, pagando un canone di fitto al Comune allo scadere del periodo dell’usufrutto.
Dopo il restauro del Castello ricordi pure le operazioni di trasloco della famiglia Martini Carissimo: io ho sentito parlarne da bambino e, a suo tempo, rimasi colpito da alcuni episodi legati al trasferimento della cantina, nella quale erano conservate bottiglie di vino tanto vecchio che non aveva più né odore né sapore di vino (si parlava di vino imbottigliato oltre cento anni prima). Come pure ricordi il trasferimento degli Uffici comunali nella nuova sede: io ho sentito parlare di mezzi rudimentali utilizzati per il trasporto delle suppellettili e dei documenti, e delle tante carte perse, di copie di deliberazioni che divennero carta da imballaggio per i negozianti della piazza.
C’è stata certamente qualche esagerazione in questo racconto, ma di fatto l’archivio del Comune, sino a quando non è stato ordinato dall’archivista Gino Frascone (anni sessanta del secolo scorso), era un ammasso confuso di carte, dove non sempre si riusciva a trovare i documenti. Nonostante la sistemazione data da Frascone, ancora oggi chi vuole condurre una ricerca nell’archivio comunale avverte le conseguenze di quel trasloco: i documenti smarriti non ci sono più!

Stralci della deliberazione n. 137 del 20 maggio 1933. Non so se tu, all’epoca, hai potuto conoscere i termini della permuta del Castello con Palazzo Martini. Ad ogni buon fine ora ti riporto qualche stralcio della deliberazione del Podestà n. 137 del 20 maggio 1933, allegata all’atto del notaio Luca di Castri, redatto in Oria addì 4 dicembre 1933: “ Omissis ....... Considerato che il Commendatore Martini Carissimo ............ si offre di permutare il suo vasto edificio per essere convertito in Municipio con l’antico Castello Svevo di proprietà del Comune riserbando a sé per soli 10 anni l’usufrutto sui vani a pianterreno del suo immobile ........ Considerato che il Castello Svevo è completamente diruto e richiede una spesa non lieve per essere restaurato, .......... il detto Castello non à alcun valore venale, pure con i suoi pregi storici ed artistici può rappresentare un valore pari a quello che il Com.re Martini Carissimo offre in permuta e che si determina in lire cinquantamila .....” omissis ....... delibera ...... di “permutare col Comm. Avv. Giuseppe Martini Carissimo il Castello Svevo col Palazzo di sua proprietà, riconoscendo a lui il diritto di usufrutto sulle proprietà terranee sopra annunziate per la durata di dieci anni consecutivi. Il detto Com.re Martini Carissimo restaurerà il Castello come meglio crederà, dandone avviso alla Sopraintendenza alle Antichità e Belle Arti, e farà visitare le torri nei giorni e nelle ore che egli stesso vorrà designare a quei cittadini e forestieri che vi si recheranno a scopo culturale e storico.” Omissis ......
Il regalo del Podestà.
Caro Nonno, il Podestà fece un bel regalo al Commendatore, ignorando molte cose e limitandosi a porre una sola condizione e in termini assai vaghi. Ti voglio citare alcune delle cose trascurate: la cripta dei Santi Crisanto e Daria con affreschi bizantini, o i resti della Chiesa medioevale demolita per la costruzione del Castello come ampliamento della preesistente fortezza normanna [alcuni capitelli e resti di colonne sparsi nel giardino interno e successivamente sistemati sul perimetro della cripta; resti delle pareti esterne dell’antica Cattedrale inglobati nelle mura terrapienate del lato sud (tratto compreso tra la Torre del Salto e quella del Cavaliere) e visibili ancora oggi dal giardino interno (piazza d’armi)].
Ti sto parlando di elementi d’inestimabile valore, di testimonianze della nostra storia, ignorate ma esistenti, allora come ora. Proprio così! Ancora oggi continuano ad essere ignorate, anche se sono lì, visibili e sfruttate per l’itinerario di visita al Castello.
Alcune confidenze.
Non ti meravigliare! Molte cose sono cambiate in quest’ultimo decennio, da quando l’ultimo Conte, il povero Gennaro Martini Carissimo, prematuramente si è trovato nelle condizioni di non potersi più occupare delle sue cose. Ti ricordi di Chiuti? Non puoi non ricordarlo, gli eri molto affezionato, come mio padre, che mi parlava spesso di lui. Era cresciuto e stava per diventare architetto, quando tu sei andato via. Ha avuto un buon rapporto con gli Oritani, è stato presente nella Comunità non solo per i suoi interessi locali, ma pure come elemento attivo all’interno della Pro Loco, di cui è stato socio fondatore e presidente per otto anni. Determinante fu il suo apporto di idee (e non solo), quando un gruppo di Amici, quasi cinquant’anni or sono, traendo spunto dalla presenza in Oria del Castello federiciano, pensò di organizzare la manifestazione rievocativo-spettacolare del Corteo storico di Federico II – Torneo dei Rioni, le Giornate Federiciane (giornate di studio a livello internazionale, svolte nel salone del Castello), il Gemellaggio con la cittadina tedesca di Lorch (solo per citare alcune delle iniziative che negli ultimi cinquant’anni hanno maggiormente inciso sullo sviluppo culturale e turistico della Città). Anche come professionista era molto apprezzato: il Consiglio comunale gli affidò l’incarico di elaborare il piano di fabbricazione della Città, che tuttora è in vigore dopo circa quarant’anni, sia pure con alcune varianti apportate nella seconda metà degli anni settanta.

Chiuti, come talvolta era ancora chiamato affettuosamente dalla moglie, quasi sei anni or sono, il 24 ottobre 2001, dopo una malattia abbastanza lunga, è deceduto in Roma: era nato il 27 maggio 1926. La sua morte ha suscitato dolore nella popolazione di Oria, che ha dovuto prendere atto della scomparsa dell’ultimo rappresentante maschio di una delle più antiche famiglie oritane, sopravvissuta alla scomparsa della civiltà contadina. Con la morte del Conte Gennaro anche la famiglia Martini era destinata ad estinguersi: il salvataggio tentato con l’aggancio ai Carissimo ne aveva assicurato la sopravvivenza per poco più di un secolo. Si concludeva decisamente un’epoca e si cominciava a temere per la sorte del Castello.
Alcune confidenze.
Il problema del futuro del Castello già da diversi anni assillava il Conte: egli era molto legato al “suo” Castello, che col titolo di “Conte di Castel d’Oria” in qualche modo era entrato a far parte del suo stesso cognome, come pure era molto legato a tutto ciò che poteva mantenere vivo il nome dei Martini.
Verso la fine degli anni sessanta ebbi modo di parlare con lui dell’Ospedale “Martini”, in occasione di una ricognizione sulla situazione dell’Ente, disposta dal Medico Provinciale per conto del Ministero. All’epoca in Oria vi era ancora, sia pure sulla carta, l’ente ospedaliero col suo Consiglio di Amministrazione composto dal Vescovo, dal presidente dell’E. C. A., dal Sindaco e dal Conte, quale rappresentante della famiglia Martini, mentre i locali erano occupati dalle suore di San Barsanofio. Gli chiesi la disponibilità a ripristinare l’ospedale e con prontezza mi rispose che era disposto a tutto, purché ne fosse conservato il nome.
Non se ne fece niente per diversi motivi, che esulano dal discorso di oggi.

Qualche anno più tardi ebbi modo di raccogliere dal Conte alcune confidenze: una del tutto personale, della quale preferisco non parlare, e un’altra relativa al suo desiderio di assicurare un futuro al Castello mediante una fondazione.
Ebbi l’impressione che l’oggetto della prima confidenza potesse essere collegato al problema del Castello, ma non andai oltre la sua confidenza spontanea. Ci lasciammo col proposito di riprendere il discorso in altro momento. Per rispetto io non sono più tornato sull’argomento, intanto gli anni sono passati e gli eventi sono precipitati, soprattutto per quanto concerne le condizioni di salute del Conte.

I Conti di Castel d’Oria, il Castello e la Città. Il Conte Gennaro Martini Carissimo era “geloso” del Castello, ma era consapevole del suo valore strettamente legato alla Città. Giustamente lo considerava la “sua” casa, ma non esitava a metterlo a disposizione della Città quando questa, direttamente o indirettamente, organizzava iniziative di grande rilievo culturale o turistico, oppure quando aveva occasione di ricevere ospiti di particolare riguardo, italiani o stranieri. In questi casi, da solo o unitamente alla signora Contessa, faceva gli onori di casa, ricevendo gli ospiti, accompagnandoli nella visita e non facendo mai mancare un rinfresco.
Nei periodi in cui non era in Oria, a volte, per adempiere a questo compito, egli veniva appositamente da Roma; quando proprio non gli era possibile essere presente, delegava qualcuno della famiglia a rappresentarlo. In più di una circostanza ha delegato uno dei cugini Carissimo di Francavilla. Non era disposto a speculare sul Castello, o a consentire che altri lo facessero: pare che abbia rifiutato non poche offerte apprezzabili e generose. Più di una volta mi ha detto di scoraggiare chi avesse avuto idea di fare richieste d’uso sia pure di una parte del Castello.

Al di là del vincolo contenuto nell’atto di permuta (visita alle Torri), don Gennaro ha avuto sempre (come il padre) un atteggiamento di liberalità. Per le visite faceva pagare un biglietto, il cui costo era molto basso. Il ricavato serviva come compenso all’addetto alle Torri. Quando poteva, operava degli interventi per migliorare le condizioni di visita. Una volta gli proposi di mettere nelle Torri degli apparecchi che, oltre alle notizie sul Castello, ne mostrassero le immagini più significative, anche degli interni. Non fu d’accordo: temeva che non fosse positivo mostrare immagini di ciò che non si poteva visitare. In quella circostanza mi parlò della possibilità di allestire nella Torre del Salto una mostra delle tavole elaborate al tempo del restauro, ma non se ne fece niente.

Come il padre, il Conte Gennaro era curioso di conoscere gli aspetti reconditi del Castello. Nei primi anni cinquanta del secolo scorso, era vivo il padre, una squadra di operai fu impegnata, per un paio d’anni, nel periodo estivo, a svuotare un camminamento sotto gli spalti alla base della Torre Quadrata - lato ovest; in tempi più recenti il Conte mi parlò di un sondaggio fatto a proprie spese al piano terreno della Torre Quadrata, in corrispondenza del portale che si vede sul lato sud: mi disse dell’esistenza di un ampio locale colmo di materiale di risulta. Desiderava recuperare quel locale, ma necessitavano le autorizzazioni e soprattutto i finanziamenti.

Il Conte Gennaro Martini Carissimo teneva molto a migliorare la visibilità del Castello dall’esterno. A tal fine fece ridurre l’altezza del muro sulla porta riservata al pubblico per l’accesso alle Torri, ma subì il furto dei reperti archeologici più interessanti contenuti nelle bacheche situate nel salone che precede l’ingresso alla Torre Quadrata. La sostituzione della parte di muro abbattuta con filo spinato intrecciato non fermò la mano dei ladri, che tornarono una seconda volta e ripulirono quasi del tutto il Museo.

Gli eredi e la vendita del Castello. L’amore particolare dimostrato per il Castello dalla famiglia Martini Carissimo, per due generazioni, lasciava sperare che gli eredi si sarebbero preoccupati della gestione e si sarebbero mossi nella direzione della fondazione, coinvolgendo anche gli Enti territoriali per assicurare una maggiore solidità all’iniziativa. Si riteneva che avrebbero valutato la situazione in maniera più rispondente al desiderio del padre, a loro certamente noto.

Le cose sono andate diversamente: il 2 luglio 2007 il Castello di Oria è stato venduto alla Borgo Ducale s.r.l., per la somma di 7.750.000,00 euro. La cifra è certamente interessante, caro Nonno, ma a me pare che il Castello sia stato sottostimato (e non sono il solo a pensare ciò).

L’Amministrazione Comunale, non disponendo di una tale somma e non avendo adeguata capacità d’indebitamento, ha tentato di giungere ad un accordo di programma con la Regione Puglia, la Provincia di Brindisi e il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali per esercitare il diritto di prelazione, ma non si è concluso nulla e, scaduti i termini fissati dalla legge, la Borgo Ducale s.r.l., redatto l’atto di constatazione, prenderà possesso dell’immobile, con buona pace di tutti.

Col Castello è stato venduto l’ampio parco, posto sul lato occidentale, con affaccio sulla via G. D’Oria. Io ho un buon ricordo del parco, che dividerei in due parti. Una più antica, già esistente nel 1948, dove tra i cipressi era nascosto, e protetto dalla tramontana, un rigoglioso agrumeto; l’altra più recente, ove la piantumazione di pini, cipressi ed altre piante ornamentali fu fatta nell’autunno del 1948, e che terminava sulla via G. D’Oria con un filare di mandorli, che a primavera, al tempo della fioritura, offrivano una veduta stupenda. Nella prima parte era compresa la casetta per civile abitazione, cui si accede dalla via San Salvatore, nella quale viveva la famiglia dell’allora custode del Castello; nella seconda parte, lungo il confine con l’attuale striscia di terreno di proprietà comunale, vi era un’altra casetta delle medesime dimensioni, dove si trasferiva nei mesi estivi la mia famiglia, a partire dall’estate del 1949, dopo che mio padre aveva deciso di lasciare i terreni che per tanti anni aveva tenuto in fitto a S. Cosimo.
La mia famiglia ha utilizzato quella casetta sino alla fine degli anni cinquanta.

Quanti ricordi! Due volte alla settimana veniva un giovane ad innaffiare le piante (se ne sono succeduti almeno tre). Il terreno in forte pendio era ordinato in più terrazzi, su ognuno dei quali si trovava un rubinetto con un serbatoio per l’acqua. Su uno di questi terrazzi gli alberi erano stati disposti in modo da poter realizzare un campo da tennis. Si passava da un terrazzo all’altro mediante una serie di piccole rampe di tufo, appositamente costruite. Scendendo dal Castello, sul secondo terrazzo o sul quarto, dipende da dove
lo si guarda, era stata costruita una grande vasca, dalla quale partiva la tubazione che portava l’acqua su ogni terrazzo. Mi è stato detto che quella vasca è stata trasformata in piscina.

Alcune considerazioni su episodi connessi con la vendita.
Nella procedura di vendita del Castello e nelle vicende ad essa collegate si può notare qualche stranezza. Viene spontaneo chiedersi come mai la trattativa, che certamente è stata lunga e non facile, si sia svolta in assoluta segretezza, e addirittura sviando l’Amministrazione Comunale; oppure perché non sia stata data notizia agli Enti interessati alla prelazione nei termini voluti dalla legge; o cosa abbia spinto la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio e per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico delle Provincie di Brindisi, Lecce e Taranto a sottolineare che, pur trattandosi di “edificio di particolare interesse storico-artistico”, “non ... appare opportuno l’acquisto (del Castello) in quanto non è possibile destinarlo ai fini d’Istituto”, esprimendo un parere – sembra – non pertinente alla sua funzione.
A me pare strano pure l’atteggiamento polemico e molto duro degli eredi nei confronti dell’Amministrazione Comunale, di quella attuale e di quelle passate. In una conferenza stampa è stato spiegato che il Castello è stato venduto perché ha bisogno di interventi di restauro urgenti e costosi, del presumibile importo di cinque milioni di euro, che gli attuali proprietari non possono spendere. Nella stessa conferenza stampa, una rappresentante della famiglia – stando a quanto riportato in virgolette nel resoconto giornalistico – avrebbe dichiarato: “Il Comune di Oria ci ha voltato le spalle”; e poi ha proseguito dicendo che, tra i diversi aspiranti all’acquisto, l’acquirente è stato scelto con cura, sulla base delle garanzie offerte, anche se ciò ha comportato per i proprietari la perdita di quasi un milione di euro. La stessa signora ha assicurato che il Castello sarà restaurato e reso più fruibile con “l’apertura di altri spazi museali”, che la Fondazione “Martini Carissimo” aprirà gli “archivi privati” che contengono “documenti inediti e di grande valore sulla storia del Castello, di Oria e della ... famiglia”, concludendo poi con una ‘ammonizione’ rivolta alla Città, in cui si evidenzia che per mantenere “il ‘bel Castello’ non deve entrarci il pubblico”. Sarebbe utile, caro Nonno, che tu leggessi il resoconto di quella conferenza
stampa. Ne ho una copia, potrei inviartela: potresti capire meglio l’animo di una delle ultime rappresentanti di quella famiglia che tu hai servito con tanta devozione per tutta la vita! Pensa che ha esordito dicendo: “Io adoro Oria. Voglio bene ai cittadini come ai miei dipendenti”. La frase è riportata in virgolette e finora non è stata smentita. Se è vera, lascio a te ogni considerazione.

Non si capisce bene l’atteggiamento assunto dalla Regione Puglia che ha disertato l’incontro del 27 agosto in Oria, convocato dal Sindaco su deliberazione unanime de Consiglio Comunale, e non si è presentata all’appuntamento presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, concordato e organizzato dai suoi stessi rappresentanti.

Si ha l’impressione che, approfittando delle difficoltà finanziarie degli Enti, sia stata ordita una trama perché fal lisse il tentativo messo in atto dal Comune, e sostenuto dalla Provincia, di raggiungere un accordo di programma per acquisire al patrimonio pubblico un monumento di grande interesse culturale e turistico. Forse, per tranquillità di tutti, sarebbe opportuno che la Magistratura, la Guardia di Finanza ed altri organi preposti a garantire il rispetto delle norme controllassero come si sono svolti i fatti.

L’opinione pubblica oritana: una Torre di Babele. Sulla questione del Castello, com’era facilmente prevedibile, nell’opinione pubblica si è creata una grande confusione, tuttavia si possono cogliere tre orientamenti:
1. lasciare che il Castello passi da un privato ad un altro privato, fissando dei paletti di garanzia;
2. predisporre un programma pubblico-privato per l’acquisto e la gestione del Castello;
3. sostenere il Comune nel tentativo di esercitare il diritto di prelazione.

La confusione nasce da una conoscenza parziale e, a volte, non sufficientemente chiara della questione. A ingarbugliare ancor più il discorso hanno contribuito gli interventi di alcuni non tanto disinteressati sedicenti “storici” forestieri.


Oggi il problema è in questi termini: il Castello è stato venduto ad una S.R.L., la quale entrerà in possesso dell’immobile alla scadenza dei termini fissati dalla legge per l’esercizio del diritto di prelazione. Di conseguenza si tratta solo di stabilire se esercitare o meno tale diritto. Per le notorie difficoltà economiche e finanziarie in cui versa il Comune, l’Amministrazione Comunale di Oria ha ritenuto di promuovere un incontro tra i rappresentanti degli Enti territoriali, cui è riservato l’esercizio di tale diritto, per verificare se sussiste la possibilità di giungere ad un accordo di programma. Questo tentativo, purtroppo, sembra destinato a naufragare. Pazienza, non si può fare niente, ma si è provato!

Non si può rinunciare a priori a questo tentativo, semplicemente perché “privato” è bello. Né è possibile orientarsi verso il privato solo perché nella gestione pubblica del patrimonio comunale si riscontrano esperienze negative: ciò significa ignorare il valore non localistico di un accordo di programma tra Enti diversi. Non si può confondere la gestione del palazzetto dello sport o della villa comunale con quella di un contenitore culturale come il Castello, basata su un accordo di programma tra Comune, Provincia, Regione e Stato. Senza trascurare la distinzione tra “proprietà” e “gestione”, e che niente impedisce che un bene pubblico sia gestito da un privato: acquisita la proprietà del Castello, con le dovute garanzie la gestione potrebbe essere affidata ad un privato.

Appare incomprensibile la posizione di coloro che si dichiarano favorevoli alla vendita del Castello ad un privato, sostenendo la necessità di fissare precisi paletti a garanzia dell’interesse pubblico. A costoro evidentemente sfuggono i termini reali della questione: il Castello è stato già venduto e il momento dei “paletti” è già passato! Non solo, ma per porre una condizione qualsiasi, a chicchessia, è necessario avere il potere di farlo. Nel caso specifico questo potere coincide con la proprietà: solo il proprietario può porre all’acquirente una condizione, anche in favore di un terzo. In termini più espliciti: solo gli eredi Martini Carissimo, al momento della stesura dell’atto di vendita, avrebbero potuto porre all’acquirente
condizioni in favore del Comune di Oria, come hanno fatto per quanto concerne il divieto alla Borgo Ducale di utilizzare “in alcun modo, neanche a livello personale o commerciale, il nome, il titolo nobiliare e/o gli stemmi araldici” della famiglia.
Ma questo non è accaduto! Anzi, al Comune si è data informazione a cose fatte, e indirettamente, e probabilmente solo perché imposto dalla legge.

Chi sostiene, poi, l’intesa tra pubblico e privato non tiene conto del fatto che una simile intesa avrebbe dovuto precedere la vendita. La possibilità di tale intesa, oggi, non sussiste neppure per la gestione.

Sembra assurda, infine, la posizione di qualcuno che in una pubblica assemblea, dopo aver evidenziato – con arrogante atteggiamento autoreferenziale – le sue ottime qualità di pubblico amministratore, ha sostenuto di essere per il pubblico, come consigliere comunale, e per il privato, come persona o semplice cittadino.

Siamo veramente alla Torre di Babele! E intanto il Castello passa nelle mani di un altro privato, e precisamente di una S.R.L..


Speranze. Personalmente non ho nulla contro il privato e tanto meno nei confronti della Società che ha acquistato il Castello.
Non conosco le persone che la costituiscono o la rappresentano, per cui, anche se volessi, non potrei esprimere un giudizio. Io non intendo formulare alcun giudizio, mi limito a fare una sola considerazione: l’acquirente del Castello è una S.R.L. con una specifica ragione sociale, con capitale versato di centomila euro, con fatturato annuo di dieci milioni di euro e con circa duecento dipendenti (sono notizie di stampa). Questo lascia facilmente intuire l’uso che sarà fatto del Castello.

Non si può pretendere che una somma così ingente (sette milioni e cinquecento mila per l’acquisto dell’immobile, cinque milioni per il restauro e non so quanti altri milioni di euro per l’arredamento) non debba fare ritorno con gli interessi nel volgere di alcuni anni. Un imprenditore non sarebbe tale, se non pensasse d’impiegare il denaro in attività capaci di produrre utili.

Noi dobbiamo augurarci solo tre cose che io ritengo di fondamentale importanza:
a) non sia stravolto il “valore” originario del Castello, quale monumento in cui sono stratificati i segni di epoche storiche diverse, dalle più remote e leggendarie alle più recenti;
b) il Castello sia mantenuto con la stessa cura, attenta e scrupolosa, dimostrata dal Conte Giuseppe Martini Carissimo e dal figlio Gennaro;
c) sia mantenuto vivo il rapporto con la Città, in modo che gli Oritani possano continuare a considerare il Castello come il simbolo della stessa Oria.

Si spera che il Castello non cessi di essere un contenitore culturale e che le sue sale siano mantenute aperte ai bisogni della Città. Chi non ricorda le giornate di studio su Federico II, organizzate a livello internazionale dalla Pro Loco prima e dalla Società di Storia Patria poi? O le giornate di studio su Quinto Mario Corrado? O ancora le celebrazioni del ventennale del gemellaggio con Lorch? Solo per fare qualche esempio.

La speranza degli Oritani è che i nuovi proprietari siano ospiti attenti, premurosi e generosi, come lo sono stati i Conti Martini Carissimo, i quali – anche se giustamente gelosi della sfera privata – non hanno mai negato l’ospitalità a iniziative o a presenze che potessero tornare utili alla vita culturale e sociale della Comunità.

Io penso che la Borgo Ducale abbia tutto l’interesse a mantenere gli impegni riportati in alcune dichiarazioni di stampa e ribaditi in una lettera all’Amministrazione Comunale, e precisamente:
adibire il Castello, “coerentemente con la sua storia e la sua struttura austera”, ad “elitario ‘centro convegni’ dalla forte impronta culturale, evidenziata dalla creazione ...... di un suggestivo percorso museale”, più ampio di quello attuale;
non sottrarre il Castello alla Comunità oritana “e ancora meno” disattendere gli impegni assunti con il Comune di Oria dai Conti Martini Carissimo”.

Caro Nonno, tu mi chiederai – ne sono certo – qualche precisazione sul secondo impegno, che sembra troppo generico se si tiene conto dell’ancora più generico vincolo contenuto nell’atto di permuta del 1933. Cosa vuoi che ti dica? Non va trascurato che i Conti Giuseppe e Gennaro Martini Carissimo, sia pure per propria liberalità, sono andati ben oltre il vincolo giuridico e hanno avuto sempre tanta accortezza nei confronti della Città. Tu mi osserverai che il problema oggi si pone in termini diversi rispetto al passato: con la famiglia Martini Carissimo il privato era una persona; con la Borgo Ducale il

privato è una S.R.L.. Questa cosa, in verità, non mi sembra di poco conto. Qualcuno teme che con la Società sia stato messo a rischio, per il futuro, il diritto di prelazione, anche per eventi che, indipendentemente dalla volontà degli attuali soci, potrebbero influire sull’assetto societario. Io non so veramente cosa dirti in proposito, né sono in grado di suggerire come sia possibile, ad esempio, tutelare il diritto di prelazione degli Enti territoriali di fronte ad un malaugurato caso di fallimento della S.R.L.. Sarebbe opportuno sentire un esperto. Forse nella stipula dell’atto di vendita questo aspetto poteva essere definito, ma i proprietari lo hanno ignorato. Il problema merita veramente un’attenta riflessione.

Un timore ed alcuni ricordi. Sarebbe cosa veramente grave se di fatto si dovesse negare agli Oritani la possibilità di visitare il Castello per l’alto costo del biglietto d’ingresso, secondo una tendenza già in atto, o se si dovesse impedire per lo stesso motivo la visita alle scolaresche. Tutti devono pagare il biglietto, ma ai paesani che considerano il Castello come proprio, alle scolaresche di Oria che hanno il diritto-dovere di acquisire una buona conoscenza del loro territorio, quindi anche del Castello (ovviamente mi riferisco alla parte più specificamente monumentale), dovrebbe essere riservato qualche privilegio: attraverso il Castello, la sua storia e la sua funzione nella storia, i ragazzi di Oria possono conoscere meglio non pochi aspetti del proprio passato e del passato della nazione, dell’Europa e del mondo.

Molti docenti che hanno lavorato nella Scuola Media “E. Fermi” e tanti ex alunni della stessa Scuola ricordano lo studio delle unità tematiche pluridisciplinari sul territorio che iniziavano o si concludevano sul Castello, o le numerose esperienze di guida a scolaresche forestiere nella visita al Centro storico, secondo itinerari diversamente articolati, ma che terminavano sempre al Castello e alla Cattedrale. Quante ricerche sono state fatte sul Castello, quante volte la sua pianta è stata disegnata sulle lavagne! Quanti viaggi d’istruzione sono stati compiuti in Umbria (Perugia, Gubbio e Assisi) per favorire negli alunni la formazione di una coscienza turistica e soprattutto per offrire loro un’occasione pratica per comprendere meglio come elementi della storia (Perugia e Gubbio) e della vita religiosa (Assisi) possono essere utilmente coniugati per la promozione del turismo anche in Oria, utilizzando la presenza del Castello, del Centro storico e del Santuario di San Cosimo.

Caro Nonno, mi auguro che di ciò non resti solo il ricordo.
Spero che queste attività siano riprese e rinvigorite, perché possono tornare utili alla formazione della coscienza turistica, presupposto essenziale – ripeto – per la promozione del turismo, che è fatto di conservazione e valorizzazione dei monumenti, di arricchimento delle offerte culturali e di accoglienza (dal civismo alle strutture).
Alcune proposte.
Le iniziative sorte nella nostra Città per la presenza del Castello vanno rilanciate e sviluppate con uno sforzo di qualificazione serio e costante. Mi riferisco principalmente al Corteo Storico di Federico II – Torneo dei Rioni, che quest’anno ha celebrato la sua quarantesima edizione e che col passare degli anni ha certamente pervaso, per molti aspetti, la vita culturale ed economica di Oria, ma che ancora non ha sviluppato tutte le sue intrinseche potenzialità di richiamo turistico ed ogni anno si ripropone con i problemi di sempre, che alla lunga potranno smorzare l’entusiasmo degli organizzatori.

I rapporti con Lorch e, attraverso gli amici della Città gemella, con i Tedeschi in genere vanno rilanciati, riprendendo in termini nuovi l’antico sogno del “villaggio turistico”, anche mediante convenzioni con strutture già esistenti o da realizzare, utilizzando soprattutto il centro storico ed incentivando a tal fine l’iniziativa privata.

Le Giornate Federiciane non possono essere sepolte, vanno iorganizzate, con la Società di Storia Patria o con altri organismi culturali che già esistono sul territorio o che si possono costituire, tenendo presente che, oltre all’Università di Bari, vi è pure quella di Lecce.

Oria deve poter richiamare l’attenzione dei turisti per sé stessa, per i suoi intrinseci valori, per le sue caratteristiche culturali, storiche, paesaggistiche, architettoniche, per il civismo dei suoi abitanti, per l’ospitalità delle sue strutture, per un suo collegamento (che non è difficile creare) con le vicine spiagge dello Ionio, che sono tra le più belle d’Italia, e non solo per le iniziative che si concentrano nel periodo di luglio-agosto, si accavallano l’una all’altra e si sviliscono l’una con l’altra. Delle tante iniziative bisogna scegliere le più significative e concentrare su di esse l’impegno e le risorse disponibili.

Sarebbe anche il caso di cominciare a mettere un freno all’uso delle risorse pubbliche e di fare uno sforzo di coordinamento per una giusta utilizzazione di quelle private. Occorrerebbe pure evitare di continuare a spremere gli sponsor (sempre gli stessi soggetti), ai quali ci si rivolge per qualsiasi iniziativa, a volte anche insignificante, inutile o addirittura controproducente.

Sarebbe opportuno riunire gli operatori economici locali (potenziali sponsor) intorno ad un tavolo per definire insieme un progetto di iniziative valide, sul quale chiedere la collaborazione delle associazioni che operano sul territorio, riservando ad ognuna uno spazio consono alle proprie competenze.

Il denaro pubblico, che oggi si disperde in tanti rivoli, potrebbe essere utilizzato diversamente: basta guardarsi intorno per rendersi conto di tante piccole cose che con costi assai modesti potrebbero essere curate meglio e potrebbero contribuire ad accrescere il richiamo turistico della nostra Città.

Bisogna dare una svolta ad una consuetudine che produce molto poco e non di lunga durata.

Alcuni cambiamenti avvenuti nella Città di Oria. Caro Nonno, quanto ti ho scritto ti ha certamente angustiato, ma tu non potevi non sapere, anche per comprendere la posizione, le richieste e la sofferenza della stragrande maggioranza degli Oritani di oggi.

L’odierna Oria è molto diversa da quella che tu hai lasciata. Anche il suo aspetto fisico è cambiato. Il centro abitato si è esteso oltre la circamenia da te conosciuta, segnata dalle vie Mario Pagano, Giacinto d’Oria e Dragonetto Bonifacio. Dove un tempo c’erano vigneti o alberi d’ulivo secolari o coltivazioni di ortaggi, oppure terreni “montuosi” e poco produttivi, oggi ci sono edifici pubblici, case, piazze e strade. L’edificio scolastico realizzato nei primi decenni del secolo scorso sull’area dell’antico convento dei Celestini
non è il solo destinato alla scuola elementare. Ne è stato fabbricato un altro in contrada Monte Paolotti; altri due sono stati costruiti per la Scuola Media ed altri ancora per la Materna. È stato costruito pure un carcere mandamentale, mai entrato in funzione e poi trasformato a sede per il Liceo Scientifico. In Oria oggi è presente l’insegnamento secondario superiore, con una sezione del Liceo Scientifico ed un’altra dell’Istituto Tecnico per il Turismo. Dove durante l’ultima guerra si trovavano le baracche dei militari, all’inizio di via Crocifisso (ora via Erodoto), si trova il nuovo Municipio.
In contrada Beneficio è sorta una grande struttura, che avrebbe dovuto ospitare l’Istituto Profilattico per Bambini Cardioreumatici, mai realizzato. Attualmente vi sono allogati alcuni servizi e Uffici sanitari, un secondo Ufficio postale (il primo non è più sotto il vecchio Municipio, ma in Piazza Giustino de Iacobis, dove all’epoca tua c’era il palazzo della G.I.L.), la Caserma dei Carabinieri (prima della tua partenza si trovava in via Francesco Milizia), gli Uffici di alcuni servizi sociali impensabili ai tuoi tempi, come il Consultorio Familiare o la Protezione Civile, o la Cooperativa per l’assistenza ai deboli di mente. Alle spalle di questa struttura, vi è un grande parco, in verità poco sfruttato, il Parco Lorch.

In via Crocifisso o via vecchia per Ostuni, dov’era un vigneto della famiglia Astore, è stata realizzata la Villa Comunale. Il macello non si trova più in via Isonzo, ma in via Torre, fuori dal centro abitato (dopo una recente sistemazione, ancora non funziona). Le strade di Oria, compresi i vicoletti e le viuzze del centro storico, sono servite di luce, gas, acqua e fogna (sono scomparsi i pozzi di acqua sorgiva, le cisterne per l’acqua piovana, i pozzi neri, le fosse per i rifiuti, la “carrizza” e le botticelle per la raccolta delle acque luride).

Il Centro storico si è spopolato, soffre di uno stato di pauroso abbandono; dovrebbe essere opportunamente rivalutato: dove un tempo viveva quasi tutta la popolazione di Oria, ora ci sono meno di duemila anime. Da qualche anno alcuni locali sono stati adattati a “casa vacanze”, ma ancora non vi è un albergo.

In questi ultimi tempi, in Oria, va affermandosi l’attività di ristorazione: sono sorti pab, pizzerie e ristoranti molto frequentati, soprattutto da forestieri.

I collegamenti con i paesi vicini sono buoni, le strade esterne sono asfaltate e funziona un servizio di autocorriere, organizzato a livello provinciale e regionale.

Il convento di San Pasquale, ad opera di padre Annibale Maria di Francia e dei suoi successori, è diventato un enorme Istituto dedicato a S. Antonio: col tempo è cambiata l’organizzazione, ma permangono le stesse finalità. Certamente sai che padre Annibale è diventato Santo; forse non sai che nei locali dell’Antoniano negli anni cinquanta era stato costruito un teatro, che da alcuni anni, ad opera di un coraggioso cittadino francavillese, è stato trasformato in Cinema: ora funziona una ‘multisala’, che è tra le più attrezzate della Provincia ed è inserita in un circuito nazionale di sale cinematografiche, dove sono proiettate sempre pellicole nuove, di prima visione.

Cambiamenti a San Cosimo: il Santuario... San Cosimo, quello che era il “tuo regno”, è completamente cambiato, sia il Santuario e sia la Villa Carissimo. Il primo si è sviluppato, si è arricchito di tante nuove strutture (parcheggi, mercato, casa per il pellegrino, giardino zoologico, bar, negozi) ed è frequentato dai fedeli non più solamente nei giorni dedicati alla festa dei Santi Medici, ma in ogni periodo dell’anno, specialmente nelle belle giornate festive.

Nelle vicinanze del Santuario è stato realizzato, per il Seminario, un complesso edilizio con varie strutture ricreative, utilizzando fondi pubblici e privati, compreso il “mattone” offerto da singoli cittadini. Ora questo grande complesso sembra destinato ad altri usi, certamente nobili, ma che io, come la gran parte degli Oritani, ancora non conosco.

Anche il collegamento Oria-San Cosimo è diverso rispetto al passato. Sia perché è stato istituito un servizio di pullman e sia perché sono state migliorate le strade. Alla strada realizzata ai primi del secolo scorso, quella che tu percorrevi quasi quotidianamente col calesse tirato dal cavallo baio o dalla cavalla col mantello a macchie bianche e nere, se ne sono aggiunte altre, che già esistevano, ma che in questi ultimi anni sono state asfaltate: mi riferisco alla vecchia strada per Lecce, dove sono scomparse le profonde carreggiate, e a quella in terra battuta che attraversava le campagne e proseguiva oltre il Santuario, che con i fondi del Giubileo 2000 è stata allargata e dotata di un percorso pedonale.

Il miglioramento dei collegamenti col Santuario è di grande importanza se si vuole fare del “pellegrino” un “turista”, ossia se si ritiene di utilizzare gli aspetti storici e quelli religiosi per la promozione in Oria di un turismo permanente ed economicamente interessante.
Se i cambiamenti del Santuario sono positivi, la stessa cosa non si può dire per la Villa Carissimo, che attualmente appartiene ad una sorella del Conte.

..... la Villa Carissimo. La Villa, al cui ingresso dalla parte del Santuario è ancora possibile leggere “Labore et Costantia”, è in uno stato di abbandono completo: sono scomparsi gli alberi e le piante ornamentali, i fiori e tutti gli altri numerosi elementi che facevano della Villa un’oasi o, meglio, una zona di paradiso. Non ci sono più i pesci nelle vasche, gli uccelli nella serra, i colombi nelle colombaie. Il grande alveare non esiste più e il palmento, dove ferveva la vita al tempo della vendemmia, è diventato un rudere. Del vicino boschetto è rimasta l’ombra. La Villa oggi è un immenso edificio vuoto e abbandonato, con dei lavori di restauro avviati ma mai conclusi; testimonianza di un’epoca passata e senza ritorno.

Ricordo sempre, caro Nonno, quel caldo pomeriggio estivo, in cui io, ragazzino di sei o sette anni, mi intrattenevo con te e la zia sul piazzale antistante la Villa, che era cosparso di ghiaia bianca (proprio come il piazzale interno del Castello). All’improvviso avvertimmo l’approssimarsi di un’automobile. Tu capisti che era l’automobile del Conte (una delle pochissime auto che allora circolavano in Oria) e, ritenendo non dignitoso il mio modo di vestire (ero scalzo e a torso nudo), mi facesti nascondere in una grande pianta di oleandro, dalla quale potei uscire solo dopo che “lu Signurinu” si era allontanato.

L’ultima volta che sono stato alla Villa (sono passati già molti anni) ho potuto constatare che proprio nella parte del piazzale antistante quell’oleandro riposava un gregge, mentre nel salone dell’ingresso principale vi era una grande massa di olive appena raccolte! Le pecore giacevano più o meno nel luogo in cui, ai tuoi tempi, si trovavano il tavolo e le sedie di ferro smaltato bianco dove, secondo il racconto che più volte ho sentito in famiglia, il Senatore nei giorni precedenti la ricorrenza del suo onomastico (il 19 settembre) era solito ricevere i suoi contadini e gli altri dipendenti che gli portavano gli auguri con un dono, che egli mostrava sempre di gradire e ricambiava.

I terreni di pertinenza della Villa non sono più tenuti a mandorleto, frutteto o agrumeto, con i canali d’irrigazione in pietra: le colture sono cambiate (e cambiano frequentemente), mentre i canali sono stati distrutti. La pompa eolica che serviva per tirare l’acqua da un pozzo inesauribile, l’unico nei dintorni, è ridotta ad un rottame: probabilmente l’acqua viene attinta con un motore ad energia elettrica e forse da un pozzo artesiano.

Anche le grandi vasche, dove negli anni qualcuno per imprudenza ci ha rimesso la vita, sono vuote e abbandonate, come pure i grandi serbatoi inseriti nelle torrette della Villa.

Alcune strade che attraversavano i terreni di pertinenza della Villa sono state modificate e altre - non so quanto legalmente - sono state eliminate (ho il sospetto che qualcuna fosse da considerarsi di uso pubblico, perché per tanti decenni mai era stato impedito a chicchessia di farne uso).

Che tristezza! Tuttavia la Villa ancora non è stata venduta!

Richiamo al turismo e commiato. Così è, caro Nonno! E nessuno di noi può fermare il tempo e il divenire delle cose, che mutano incessantemente e, purtroppo, non sempre in positivo! Ho voluto dirti tutte queste cose perché tu possa renderti conto che in Oria oggi, nonostante tutto, sussistono le condizioni per imprimere un impulso decisivo al turismo, un’attività impensabile nella prima metà del secolo scorso, quando la nostra economia era interamente basata sulla coltivazione della terra e i nostri giovani, se maschi uscivano da Oria solo per il servizio militare, o se femmine in occasione del viaggio di nozze, che era sempre subordinato alla possibilità di poterne sostenere la spesa. Insistere sul turismo oggi significa rilanciare i diversi settori produttivi della nostra Comunità, creare in loco le occasioni di lavoro per tanti giovani ancora costretti ad emigrare, favorire la mobilità sociale e arricchire, in tal modo, il nostro tessuto sociale con quelle risorse necessarie ad una crescita culturale, economica e sociale della Città.

Dopo averti tanto angustiato con questo scritto, che anche se lungo è assolutamente incompleto, ti saluto con un ultimo pensiero rivolto al Castello. Chi arriva in Oria – da nord, da sud, da est o da ovest –, per quanto ancora consentito dalle costruzioni che non sempre hanno rispettato alcuni vincoli necessari a conservare la visibilità del Castello, da lontano ne vede le mura e le Torri, che a sera sono illuminate. Spero che nel futuro non si debba riflettere sull’uso della pubblica illuminazione o sui tanti vincoli urbanistici che derivano agli Oritani dalla presenza del Castello!

Ti lascio con un abbraccio filiale.

Tuo nipote Cosimo

P.S.:
Questa lettera va in stampa quando i termini per la prelazione sono ormai scaduti e la Borgo Ducale s.r.l. può essere considerata a tutti gli effetti la nuova proprietaria del Castello.
Amen!

DISTRIBUZIONE GRATUITA Stampato: dalla Cidue s.r.l. - Oria (Br)

1 commenti:

Valeria ha detto...

Il Preside Mazza, circa 30 anni fa, ebbe a dirmi in occasione della consegna della mia lodevole pagella:"beati monocoli in terra caecorum" riferendosi alla facilità con cui ero riuscita a primeggiare in una classe di fannulloni/sub-dotati. Ora gli chiedo,da 800 km di distanza e alla luce dei fatti descritti, era forse Oria la "terra caecorum" e non solo la mia classe?
Con immutata stima,
una ex alunna della Scuola Media E. Fermi

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